mercoledì 30 dicembre 2009
Irrisolti.
Ci sono cose irrisolvibili.
E persone irrisolte.
...
Due storie sentite una dopo l'altra, che però ci ho messo un po' ad accostare.
Prima la storia di Tam.
Tam ha più o meno la mia età e ha deciso che lavorare è sbagliato.
Vivendo più o meno in campagna, si è messo a coltivare quella pianta innominabile e illegale che guai-e-dannazione-a-chi-se-la-fuma. Prima che lo chiediate: per lui mi sa che coltivare non è un lavoro.
Per un po' -un bel po', a quanto mi dicono- è vissuto dignitosamente di quello che la natura gli dava e l'accendino altrui bruciava. Poi le forze dell'ordine l'hanno redarguito e lui se ne sta nella sua casetta a studiare e fumare.
Seconda storia: protagonosta un tale Azz.
Azz è un po' più grande di me, è laureato e ha una certa passione per le lettere.
Infatti per un po' ha fatto il postino.
Poi l'insegnante.
Poi il giornalista.
Poi il tutore.
Poi vuole insegnare italiano all'estero.
Poi poi poi.
...
Io, Tam e Azz siamo più o meno nella stessa situazione reddituale: stipendio incerto o certamente assente, una certa inclinazione per la letteratura e lo studio, pochi titoli da esercitare nel campo accademico.
In modi diversi, Tam e Azz mi fanno paura.
Quel misto di comprensione, pena e angoscia che si prova per qualcuno che temi essere molto simile a te. Perché anche se Tam e Azz hanno due storie interessanti da raccontare, non credo vorrei viverle.
La domanda, la solita, è quel
- Non è che non hai voglia di lavorare?!?
che da milanese quale sono mi perseguita dall'infanzia.
Tutta queste indecisione, questa tentativo d'essere interessanti, quest'essere irrisolti, non è solo poca voglia di lavorare?
Se leggo&scrivo otto ore al giorno è come se lavorassi?
A
*Immagine trovata sulla rete: copyright di chi se l'è inventata, non mio.
martedì 29 dicembre 2009
Burp.
Combatte le indigestioni e in generale gli eccessi a tavola.
E funziona.
...
Abbondano le portate, tanto che che mi perdo il sapore dei cappelletti in quello della mostarda, e quello della mostarda nel dolce del frizzantino, e quello del frizzantino nella torta di tagliatelle e quello del dolce nei ravioli di zucca del giorno dopo.
- Ci sarebbe questo posto per...
Dice il parente A.
- Hai provato a chiedere a....
Dice il parente B.
- Non pensi che dovresti fare il...
Dice il parente C.
Tutti meravigliosi.
Tutti amabili.
Tutti benevolenti e megliointenzionati.
Ma invece di sentirmi sicuro e confortato mi mettono a disagio.
Mi sento i colpa.
Tutte quelle aspettative sul
- Mio nipote, quello bravo
naufragate in un 32enne bianco di barba e dal carattere spigoloso.
Chebello c'è un parente D che mi chiede cosa voglio fare.
-Raccontare storie,
rispondo con la solita sincerità, puntellata da una generosa porzione di polpettone.
E lui, strano, me ne chiede una.
...
C'è un re che gli muore la moglie di parto.
Ora ha quattro figli e il letto vuoto.
Sposa la sorella della prima moglie ma ci sono sospetti che anche se non siamo in Danimarca ci sia del marcio da qualche parte.
I figli non sono abbastanza esistenzialisti per impazzire quindi uno si droga, l'altra diventa anoressica, il terzo fa finta di niente e si laurea in filologia romanza, il quarto poverino si iscrive a Forza Nuova.
La matrigna dopo un po' si accorge che un morto tira l'altro, e pensa che se ammazza il marito può regnare e sposare il giardiniere.
Però poi ci ripensa e gli fa solo le corna.
Il figlio che si droga scrive un libro sulla sua -fallita- riabilitazione, e diventa famoso.
La figlia anoressica scrive un libro sulla sua -fallita- riabilitazione e diventa anche lei famosa, ma a differenza del fratello maggiore non gliene frega nulla e si sposa con un finanziere.
Il quarto figlio, quello di Forza Nuova, non sa scrivere quindi non scrive un libro, ma diventa famoso lo stesso per un attentato che poi tanto hanno incolpato gli anarchici, sul quale rilascia un'intervista a Porta-a-portè da cui poi il conduttore ha tratto un libro di successo.
L'unico figlio che non diventa famoso è il terzo, quello che fa finta di niente, ché tutti i libri noiosi che scrive l'editore glieli boccia anche se è figlio del re. Alla fine andrà a trans perché sono i soli che lo capiscono -evidentemente da dietro- e scoprirà che per strada si vive meglio che in biblioteca, ma sarà troppo tardi.
Fine.
La morale è che se te ne freghi della vita la vita se ne frega di te.
...
- Mi sembra un po' troppo farcita
dice il parente D.
- Vabbé, tanto per mandarla giù c'è la citrosodina, no?
Risate.
A
lunedì 28 dicembre 2009
Quante-storie-fai?
Ne parlavo la sera della Vigilia.
Storia di come sia possibile girare la frittata, se hai parole a sufficienza per farlo.
...
In questi giorni studio.
Non ho un esame in ballo, e proprio per questo studio.
Leggo, guardo, scrivo.
Canto, anche.
Insomma, studio.
A domanda precisa del parente a tavola,
- Studio
rispondo.
E siccome mi guarda come se non avessi detto niente
- E scrivo
completo.
Giro un po' la frittata per non dire esplicitamente che non avrei nulla da fare, a parte essere in vacanza, cioè. Ma si è i vacanza da un lavoro, e siccome io di lavoro non ne ho quasi più uno (uno col contratto, intendo), logicamente non posso essere in vacanza.
Quindi mi preparo a quello che verrà, che al momento è chiaro ma solo se lo guardi da lontano.
Man mano che si avvicina, i contorni sfumano.
Scriverò.
E va bene.
Non mi nascondo più dietro a paure più o meno motivate: io scrivo e racconto storie.
Non posso neppure dire che mi manchino gli spunti, le idee, o i concorsi a cui inviare roba.
Tutto molto nitido.
Ma, a un osservatore molto attento, e a me in particolare, sembra una frittata rivoltata.
Siccome non hai un lavoro, scrivi.
Siccome hai il numero necessario di parole, hai trasformato una sconfitta in una scelta di martirio.
...
Martirio una sega.
Questa non è la strada più difficile, perché è quella che mi appassiona. Questa non è la strada della sconfitta. E' la strada della catarsi.
Pulirsi la testa da tutto le croste che ci sono entrate nell'ultimo anno e mezzo.
Fare quello che voglio fare.
Scrivere.
Certo, è una strada diversa, con tempi, orari e abitudini diverse.
Non c'è più il treno da prendere alle 8,15, e chiama-per-avvisare-se-lo-perdi.
Non c'è più lo stipendio il 27.
Neppure il ci-penso-domani.
E' la stada dell'oggi perpetuo e necessario. Del non-ho-tempo-da-perdere.
La fine dell'autogiustificazione.
Dio, mi viene in mente una parola greca che saerbbe perfetta.
Ma ho iniziato da un film giapponese, e se metto anche le citazione greche chi voglio che mi legga?
Vabbé, è Aiòn.
A
giovedì 24 dicembre 2009
Buonnatale una sega.
Ieri esco per l'ultima volta dalla mia redazione.
Milano miracolosamente soleggiata e quasi tiepida nonostante la neve.
Controllo il conto in banca e scopro che effettivamente risparmiare serve, che ho un po' più dindi del previsto e che quindi ho un bonus per i regali ancora da comprare.
Poi mi ciulano la borsa.
E ovviamente lo spirito natalizio và a farsi benedire.
...
Non mi metto a parafrasare il celebre monologo di Albanese e del suo motorino, però certamente di accidenti al ladro ne ho tirati parecchi.
Coloriti.
E molto perversi.
Nella borsa, oltre a vari documenti e a un paio di regali, c'erano la mia macchinetta fotografica -quello che ho usato finora, e in cui c'erano almeno un altro paio di foto per il blog- gli appunti e i file dell'ultimo mese di scrittura e, soprattutto, la mia penna preferita.
Valore complessivo?
Una ventina di euro.
Ma cazzo recuperarle sarà impossibile.
Siccome sono convinto che sia molto rincuorante trovare un senso alle cose assolutamente insensate che ci accadono, oltre a inventare bestemmie ieri ho anche pensato ai perchéepercome di un borseggio proprio nel mio ultimo giorno di lavoro.
Fatalista:
- Oggi tutte a me, porcoEtc.
Ottimista:
- Evidentemente è la fine di un ciclo: si volta pagina.
Pessimista
- Ecco, non dovevo farmi venire grilli per la testa: mettermi a scrivere è stata una bella idea dell'Etc.
Cinica
- Era il giorno sfortunato di quello stronzo di borseggiatore, che con quello che ha trovato non si fa manco un Etc di caffé
Destrutturante
- Sarà lo spunto per un racconto
Esoterica
- Significa che la gente sta male e non devo sprecare soldi in regali
Vi risparmio le altre, più che altro perché mi accorgo che sto uscendo dal seminato.
In questo blog si parla di post-precarietà, giusto?
Bene: allora la morale, per un occupato terminale, è che anche l'ipotesi di darsi al borseggio, quando il c/c piangerà, purtroppo non sarà percorribile.
Empatizzerei troppo con la vittima.
...
C'è stato un periodo in cui, ascoltando De Andrè, simpatizzavo con chi ruba per il pane.
Credo che il disperato che mi ha preso la borsa appartenga a questa categoria.
Un poveraccio, che magari due o tre mesi fa aveva un lavoro precario come quello che va terminandomi, e che adesso si trova a fare i conti con pignoramenti, interessi e figli a carico.
Chiaramente mi spiace per lui.
Ma se c'è una cosa che ho imparato ieri è che mai, mai, ma mai proprio è lecito rubare la borsa di qualcuno.
Piuttosto, come dice quel prete anglicano di cui ho letto, rubiamo nei supermercati.
Ecco, tu stronzo che probabilmente mi hai pure maledetto per non averti fatti trovare un portafogli gonfio nella borsa: il mio regalo di Natale è un consiglio... Che finisce, via blog, anche a tutti quelli che potrebbero pensare di far qualcosa di simile, magari tra un paio di mesi, quando le cose cominceranno ad andare davvero male.
La prossima volta ruba qualcosa da mangiare.
In una borsa potresti non trovare nulla, ma di sicuro toglieresti qualcosa di prezioso a chi ce l'aveva.
Essere stronzi, e per di più senza tornaconto, peggiora la vita di tutti. Compresa la tua.
Buon Natale.
Natale una sega.
A
mercoledì 23 dicembre 2009
E io mi stufo.
Un gran freddo a Milano e dintorni, quindi dò una mano ai caloriferi.
Secondo qualcuno non è molto macho avere una stufetta.
Beh, quel qualcuno probabilmente non patisce il freddo.
...
Ieri in metro incontro il mio Primo Direttore, che poi è quello per colpa/grazie al quale faccio il giornalista.
- Allora hai mollato il lavoro? Hai fatto bene, se non ti dava più soddisfazione.
Dice. Ed è, come sempre, molto rincuorante sentirselo dire.
In effetti, per me qualunque cosa dica lui è molto rincuorante.
Diciamo che, professionalmente parlando, ho una specie di "cotta" per lui.
Anche il mio Primo Direttore aveva lasciato un posto che non gli piaceva più, a suo tempo.
Il giornale per cui scrivevo anch'io.
Incomprensioni, pressioni, ambizioni... Tutto quel misto di motivazioni che stanno quasi sempre dietro all'interruzione di un rapporto lavorativo.
Gestì la cosa da signore.
- Prima che te lo dicano altri,
mi disse, dopo avermi chiamato nel suo ufficio
- ...voglio farti sapere che me ne vado. Qui le cose andranno avanti, ma senza di me.
Io biascicai un
- Sì.
Ma sapevo che le cose non sarebbero andate avanti. Almeno non per me. Non lì, comunque.
Il mio Primo Direttore non era uno dei motivi per cui lavoravo in quella redazione: era il motivo.
Ci misi un anno ad accorgermene, in realtà. Ma la storia era già scritta: dovevo solo leggerla.
Un po' come ora. La storia della fine di questo rapporto forse era scritta fin sulla prima pagina.
E' come se il titolo di questo capitolo della vita fosse "parentesi nella vita lavorativa del protagonista". Non c'era da aspettarsi durasse a lungo, tantomeno che fosse l'impiego della vita.
Ma quando si arriva al climax di una storia, il lettore appassionato riesce a dimenticare completamente quello che già dovrebbe sapere. Credo sia l'istinto di sopravvivenza delle emozioni.
-Se lo sai già, non sarai stupito. E tu vuoi restare stupito, no?
Immagino mi dica il mio ES, senza che io coscientemente l'ascolti.
Ecco, a mollare questo lavoro, quello di cui oggi termino di onorare-il-contratto ci ho messo un anno e mezzo. Più o meno il tempo che ci ho passato. Ma me ne sono reso davvero conto solo qualche settimana fa. E solo ora sta capitandomi.
Direi che non ci sono rimpianti, solo qualche paura.
La paura che il riscaldamento non scaldi abbastanza, e che la stufatta non parta.
...
- Hai fatto bene, mi ha detto il mio Primo Direttore.
Che però non è mai stato un diversamenrte occupato: andandosene, lui aveva già la nuova scrivania ad aspettarlo.
Lui probabilmente freddo non l'ha mai provato.
Sono rincuorato, certo.
Ma non vedo l'ora di provare ad accendere la stufetta dei mille progetti che dovrebbero scaldarmi il reddito in questo periodo rigido. Giusto per vedere se funziona, ecco.
A
martedì 22 dicembre 2009
Neve-da-ardere
Nevica.
Non è esattamente una sorpresa, ma ha lasciato lo stesso tutti a bocca aperta.
Alcuni si divertono a vedere il fiato che si condensa in una nuvola di fumo bianco.
Altri sono semplicemente senza parole di fronte allo spettacolo dei fiocchi.
La maggior parte invece bestemmia a piena mascella, perché con la neve a Milano non ci si muove e hai voglia ad avvisare che farai ritardo.
...
Penultimo giorno a questa scrivania che da diciottomesi in qua chiamo mia.
Poi vacanza, dritto fino all'ultimo giorno del contratto-che-vado-onorando.
L'idea di aprire un programma per lavorare a qualche ultimo montaggio mi abbatte.
Sarei così lento.
Tutto quello che ho nel PC e negli HD mi è così alieno che per ritrovare un file perderei una giornata. La tastiera e il monitor continuano a fregarmi coi refusi. Anche il puntatore è in ritardo sul laser-mouse.
Mi guardo attorno.
Una spoglia scrivania bianca.
Ci metto una mattina a svuotare il cestello della carta.
Un pomeriggio mi prenderò per controllare i cassetti. Mettere via le penne. Gettare appunti e fogli volanti.
Non si lascia niente.
Certo, potrei tornare a gennaio a controllare a riprendere a cercare.
Ma non voglio farlo.
Questo sarà un addio, cheddiamine.
E da domani l'altro, la ruota girerà fino a nascondere questa redazione.
- Pranziamo insieme, ché domani me ne vado?
chiedo ad alcuni colleghi.
Non posso non ci sono non ho soldi non ho tempo non.
La neve non concilia un addio mangereccio.
Va bene così. Sarà un addio professionale, il che credo sia appropriato.
...
La neve nel cestino della spazzatura la porterà via il netturbino?
Arriverà il netturbino?
Si scioglierà e basta?
In ogni caso, giurerei che tra un mese la neve in eccesso l'avremo buttata tutta.
O messa a posto, cioè. Dove non dà noia.
Siamo a Milano, infondo.
La capitale del lavoro e dell'efficienza e del trasporto su gomma.
Tra un mese, insomma, nessuno avrà più scuse per essere lento e freddo e impantanato.
Me compreso.
Ma oggi, accidenti a Milano, anch'io mi sento davvero bloccato.
A
lunedì 21 dicembre 2009
Giro-vita
Pranzi, cene, rimpatriate.
Molti, visto che chebello conosco tanti gruppi diversi di persone.
Redazioni bocconiani compagnie colleghi amici parenti.
Si alzano i trigliceridi si abbassano gli euri.
Cresce il giro vita e scende il portafogli che ho in saccoccia.
...
Ieri -anche ieri- grande cena a casa d'amico.
Non così grande, in realtà: pizza.
Battute e amenità e alcol quanto serve per far parlare un po' tutti dei fatti loro.
- Casa nuova perché in quella vecchia non ci sta più il televisore
o
- Chiamiamo una baby sitter perché insomma noi si parte per le feste e si va ai tropici
o anche
- Una settimana ad Amsterdam un'altra credo poi a Berlin prenoto ora che risparmio sull'aereo...
Tutte cose legittime e normali e belle.
Ma il tipo di pensieri che ha chi ha almeno un paletto nella vita.
Un reddito.
Ero tra amici ma li sentivo chepeccato distanti.
Non per colpa loro.
Non era questione di invidia o chessoio: ci ho pensato, ma in effetti non riesco a interessarmi seriamente a un televisore o a una vacanza.
Il punto è che loro sembrano tutti così già nella direzione giusta.
Come il Tal Manager che mi dice
- Specializzati
Se devi bucare un'asse, non puoi stederci il mattarello. Devi infilare una vite, e su un punto giraregiraregirare.
...
Ecco, quello che mi manca è un giro di vite. Anzi, di vita.
Non sono sicuro di sapere qual è il piano da bucare. Il punto su cui far leva.
Però penso di aver capito che riguarda il raccontare storie.
Bene, adesso mi serve solo la filettatura e spingere, girare, torcere.
Speriam non faccia male.
A
venerdì 18 dicembre 2009
Ma-dove-vai?
Non con lo Zio Sam, però.
Con un Tal Dirigente di una grossa azienda milanese.
...
Arrivo con qualche minuto d'anticipo e mi sembra di stare a Fort Knox: per entrare in questo vecchio palazzo, sede dell'augusta azienda municipale milanese, poco ci manca che mi chiedano le impronte digitali. Meno male che non sono immigrato e che ho la pelle padanamente chiara, sennò facile che si infilerebbero il guantino di lattice e sotto con l'ispezione anale.
Comunque, arrivo al piano indicatomi e mi viene incontro una signorina rossadicapelli.
Qualche decina di metri tra i corridoi stile Dedalo, poi l'ufficio spazioso ma informale del Tal Dirigente.
Che, a dispetto della premessa, mi sta molto simpatico.
- Cosa vuoi fare?
Chiede passando al tu.
Io mi ero preparato alla grande sul passato, pronto a un banale
- Cos'hai fatto?
invece sul futuro non ho nulla di pre-cucinato.
Quindi, essendo tendenzialmente e disgraziatamente sincero,
- Raccontare storie
rispondo.
Pausa, nella quale lui cambia posizione.
Per chi si interessa di linguaggio del corpo: prima era seduto di trequarti rispetto a me, ora invece mi si mette dritto di fronte e appoggia gli avambracci sul tavolo.
Non credo mi voglia baciare, comunque.
- Io suonavo
dice.
E, a vedergli i capelli lasciati lunghi e sbarazzini quel tanto da non stonare con l'abito, non fatico a credergli.
- Però a un certo punto mi sono fatto un piano marketing e ho deciso cosa dovevo fare da grande, perché con quello non avrei mai guadagnato abbastanza.
Segue una bella e fraterna e piacevole chicchierata in cui mi dice che fondamentalmente il fatto di aver fatto un sacco di lavori che hanno a che fare con la comunicazione è come non averne fatto nessuno, che bisogna specializzarsi, che siamo prodotti nel mercato dei servizi e dobbiam saperci vendere. Poi dice che i miei progetti sono del tipo
- Non ci mangi
e che
- Ci sono un sacco di milionari che fanno come te. Ma hanno cominciato proprio perché erano milionari, non farti illusioni.
Io ringrazio, stringo la mano, butto lì due o tre frasi che però né mi piacciono né divertono, perché chissàcome mica mi sento più troppo a mio agio.
Lui mi accompagna a ritroso nel dedalo, ristringe la mano e butta lì a sua volta un
- Sai dove sono se hai bisogno
che mi fa ripensare all'ipotesi degli analisti transazionali secondo cui se ti sporgi verso di me sul tavolo mi ti vuoi fare.
Esco.
...
Oggi Milano è fredda da-quattro-barboni.
Cioè facile che ci restino almeno quattro senzadimora, per i geloni.
Io passeggio con calma verso il metrò restando scombussolato, con in testa
- Quanti mesi prima che il barbone in strada sia tu?
Una mezza ragazza col trucco sfatto al bancone del bar dove ordino un caffé, e veloce nel cervello
- Vuoi vedere che dovrò dar via il culo? Farà male? E quando potrò guadagnarci, sovrappeso come sono?
Piazza Duomo. La facciata della cattedrale ripulita e finalmente libera.
Così bianca da brillare dietro il nevischio.
Il poster di Burt Bacharach, che suonerà sabato.
"Io suonavo", mi ritona in testa.
"Poi però ho smesso perché non avrei guadagnato abbastanza"
- Ma è possibile che un Tal Dirigente invidi un Diversamente Occupato?
A
giovedì 17 dicembre 2009
Far scintille
Il mio lavoro non ha a che fare con gli altiforni.
E meno male.
Certo, non dico che il lavoro fisico mi spiacerebbe.
Si diventa più machi.
Però, magari per colpa di un film con Volontè, penso sempre che a furia di picchiare chessò le barre di metallo, mi verrebbe voglia di picchiare qualcosa anche fuori dell'orario d'ufficio.
Per abitudine, magari.
...
Ho questa collega che chiamiamo Lo.
E' carina ed è brava e gentile e.
Ancor di più: ha quel tipo di passione per la quale è la prima a entrare in ufficio e l'ultima ad uscire. Quel tipo di passione che a volte è persino eccessiva. Quella per intenderci che quando sei in giro con altri fai battute da ufficio e ci rimani male a sentire
- Mica l'avevamo capita.
da quelli che hai intorno e che si guardano la birra per stemperare l'imbarazzo.
Vabbé, sembra brutto a dirla così ma è una bella cosa, per un capo.
Ora, che la mia azienda non sia proprio il paese del Bengodi l'avevo accennato all'inizio del blog.
Però decisamente Lo, che era qui da molto prima di me, non si dev'essere sentita minacciata dalle folate di vento. Non lei. Solo, le avrebbero fatto il solito contratto-a-progetto, l'ennesima pezza attaccata all'orlo del libretto del lavoro. Ordinaria amministrazione, ordinaria occupazione, ordinaria precarietà. Diciamo precarietà garantita, come da otto anni in qua.
Invece a Lo hanno proposto di meglio.
Un cliente, inserzionista di alcune riviste, le dice tipo
- Vieni che sei brava: ti facciamo un contratto vero, con uno stipendio vero e una stretta di mano vera, mica quelle che sul più bello ti lasciamo cadere.
E lei accetta.
Che bello.
Capita ancora.
...
Bene, quel che fa la differenza non è che a qualcuno che si impegna venga ancora offerta una buona occasione di lavoro, nonostante la crisi e i tagli e gli arresti eccellenti a Milano.
Quel che fa la differenza è che Lo, mentre l'abbraccio complimentandomi, dice
- Ho un po' paura a dirlo in amministrazione: mi sembra come di tradire...
Ecco, le cose buone capitano a chi se le merita.
Se, battendo il ferro, riesci a non farti prendere la mano, a non incattivirti, a non farti alienare al punto da perdere quel
- Mi sembra di tradire
allora le cose buone te le sei proprio meritate.
Se
- Tradire
è ancora qualcosa per cui puoi stare male, allora mettiti pure comoda: prima o poi l'occasione arriverà certamente.
Brava, Lo.
A
mercoledì 16 dicembre 2009
Too-much-coffee-man*
Un caffé.
Anche della macchinetta.
Stare sveglio adesso e non dormire nel letto.
Pessimo affare, ma ancora il miglior affare possibile.
...
Ogni matina prima di uscire devo ricordarmi che la scarpa destra va sul piede destro e non sulla mano sinistra.
Uno sbatta, se ci pensate bene.
Arrivato in ufficio infilo i miei centesimi nella macchinetta e mi aspetto lo
- Sciacquo!
di Gaber quando canta del suo shampo.
Invece solo caffeina e mal di capo.
La verità è che le prospettive per il mio post-contratto non mi fan dormire la notte, ma in compenso mi fanno venire un gran sonno durante le ore d'ufficio.
E' eccitazione, mica per paura.
La voglia che sia già domani, tra
- Ci sarebbe guarda questo posto per...
che dice l'Amico A.
o
- Proveresti per esempio a far colloquio per...
come dice l'Amico B.
o anche
- Fammi avere il tuo CV che stiamo cercando per...
detto dall'Amica C.
Conoscere gente è meglio che cercar inserzioni sul web.
E anche più divertente.
Però cacchio la diversa occupazione me ne sta facendo conoscere più di quanti la mia veglia ne possa gestire. Se andiamo avanti così, dovrò licenziarmi prima che l'onorato-contratto giunga a termine.
...
La gestione del tempo è un problema, quando hai un contratto da noveorenove al giorno da onorare. E anche quando il tempo riesci a organizzartelo sull'agenda, non è mica detto che la testa stia davvero dietro a tutto.
La mia settimana, per esempio, è un mosaico che neppure a Ravenna, per la precisione con cui colloqui, progetti e scrittura si incastrano senza sovrapporsi gli uni con gli altri. Il problema è che, dormendo quattro, cinque ore a notte, anche se non si pestano i piedi sull'orologio si ammonticchiano nella testa, e allora
- Io volevo il progetto, mica il CV
dice credo B
- Mi chiami ché siamo in scadenza?
dice mi sa C
- Ma mica dovevamo vederci?
si preoccupa A.
Ochei, miglioro datemi ancora qualche giorno e sarò più libero, giuro.
Intano è magnifico che sia così.
E nella mia prossima vita, qualunque sarà, amerò offrire a tutti voi un caffé, signori A, B e C. Tanto per tenerci svegli.
A
*Grazie a Shannon Wheeler per aver inventato il supereroe più esistenzialista del mondo
martedì 15 dicembre 2009
Alfabeto
Tra l'altro ci sono anche la jei la kappa la ics e la ypsilon, ma manca la w: vedi che fregature ti propina la rete quando cerchi "alfabeto".
Oppure l'hanno omessa perché non c'è nulla per cui valga la pena inneggiare.
Vallo a sapere.
...
In questi giorni passo un sacco di tempo in rete tra blog e sitilavoro e sitinotizia.
E casella di posta elettronica, ovviamente.
E' uno strafalcione dietro l'altro.
Nei testi, negli slogan, persino nelle immagini: si va dal sempre attuale inglese maccheronico, quasi sempre mal coniugato in italiano, agli errori di sintassi, a quelli di battitura.
Un collega, che chiamiamo Zeta, quando gli dico
- Facciamo troppi errori di battitura
sorseggiando il caffé della macchinetta, mi risponde
- Eh, ad aver tempo...
Ma quasi sicuramente intende
- Ad aver voglia di rileggersi.
Perché il problema, quando scrivi cose che ti interessano poco o punto, è rileggersi.
Ovviamente, anch'io sono un grande produttore di errori. D'altronde, chiunque scriva si accolla il dovere di fare almeno due strafalcioni gravi l'anno, più un certo numero di h o è omesse, per non parlare dei ceh e delle parole tronch.
Però c'è un limite.
Ed è il tipo di limite che non si può mica imporre.
Significa avere cura di quello che si scrive, e interessarsi delle persone che lo leggeranno.
...
Se facessi il catechista in oratorio, e se sapessi che tutti i giornalisti da piccoli vanno in oratorio, e se credessi che uno slogan può influenzare una carriera, dopo aver tirato un'orrenda bestemmia direi
- E ricordatevi che i refusi fanno piangere Gesù.
A
lunedì 14 dicembre 2009
Saturday-night-fever
Era in ritardo.
Però comunque ci ho messo meno del previsto a tornare, e soprattutto ho speso pochissimo, causa promozione. Da oggi, mi dicono, Trenitalia ha aumentato i prezzi del 21%. Bella fregatura, ma a me è andata bene...
...
Questo WE l'ho passato a Roma, ché c'era la presentazione dei corsi di una nuova accademia teatrale. Siccome l'accademia l'hanno fondata cari amici, e siccome
- Mah, io qualche progetto ce l'avrei. Magari ne parliamo...
Ho pensato bene di andarci.
Per tutto sabato mi sono pentito della scelta.
Ero, nel tumulto dei preparativi e tra gli oneri dei padroni di casa, un soprammobile quasi immobile.
Tra un
-Ciaopiacere
e un
- Ma sarei amico di...
o un
- Sì sai anche io scrivo...
Sono riuscito a fare meno PR di un ciellino tra le Bestie di Satana.
Eppure gli interessi comuni evidentemente non mancavano.
E stiamo parlando di attori, che non sono proprio i tipi che si chiudono nel loro guscio esistenziale, di solito.
Ma evidentemente il vestito o l'accento o il dopobarba erano quelli sbagliati, e allora io a guardar da fuori i gruppi di persone formarsi e sciogliersi. Un po' patetico, un po' scontato, un po' imbarazzante.
Poi però la presentazione è finita, è finito il bouffet e persino è finita la pulizia delle sale.
Ed è finito anche il sabato, scoccata com'era la mezzanotte.
Chiacchiera coi miei ospiti, stracchi com'era inevitabile dopo tutto quel trambusto, tra una fetta di salame e un cicchetto di whiskey. Chiacchiera di alcune ore, con i commenti e le battute ma anche coi consigli, l'esperienza, gli incoraggiamenti.
- Quello che hai fatto fino ad adesso è la molle più forte che ti spinge avanti.
Per loro "avanti" significa realizzare l'improbabile: un'accademia teatrale. Dal nulla, o quasi.
Cappello.
Non è quello che ho in mente io, ma gli esempi mica si prendono alla lettera.
Quello che hai dietro ti spinge avanti. A volte ti prende a braccetto altre ti spinge altre ancora ti travolge.
Come nei racconti ben scritti, mi sa che il finale è compreso nell'inizio.
Anche se in ritardo, le cosebelle che mi aspettavo da questo viaggio sono arrivate, e valeva la pena aspettarle.
...
Comincio a intravedere lontano lungo il binario il treno che stavo aspettando. Non è in orario, ma sta arrivando. E, come tutti i treni, ha binari alle spalle e binari davanti. I binari di dietro spingono quelli davanti. Quando questo treno sara in banchina dovrò scegliere se salirci oppure no. Però non si può proprio dire che non so dove porti.
Non più.
A
venerdì 11 dicembre 2009
Perché qui?
Via Beato Angelico, Milano.
Non ci sono monumenti chiese centri commerciali MacDonald palazzidellefiabe. Non sta in periferia ma neppure in centro. Decisamente non c'è un gran traffico.
Allora perché quel tizio con la fisarmonica (più o meno al centro della foto, che non guarda in camera) si è messo a suonare proprio qui? Quanti soldi metterà insieme stando dove sta?
Non sarebbe più redditizio suonar chessò in metro, o in centro, o davanti al Duomo?
...
Oggi sono state calde discussioni sui progetti a venire.
Vicino a via Beato Angelico c'è un ufficio e con un po' di vecchi amici e un po' di nuovi amici ci si è trovati per parlare di corsi e laboratori. Di comunicazione. Di teatro. Di idee.
Io dico
- Avrei questo laboratorio sperimentale che insomma sarebbe per persone che hanno una certa esperienza, gente che scrive, che fa già teatro che...
Un amico dice
- Sì
poi aggiunge
- Perché?
e intende perché uno, magari un attore, magari uno scrittore, magari un professionista, dovrebbe venire a pagare te, quando può pagare chessò Tizio, noto autore, o Caio, grande attore, o Sempronio, che televisivamente parlando è un'istituzione?
Buona domanda.
Io penso
- Boh
ma siccome non è la risposta che si aspetta nessuno dei presenti (me incluso) pur pensandolo mi arrischio in una serie di parole gradevoli e sensate e forse persino convincenti, visto che poi a parte una battuta su Sempronio che
- Siccome ha una vulva di un certo spessore può parlare di tutto
nessuno dei presenti si è fatto troppi problemi.
Nessuno tranne me, cioè, che invece ci ho pensato tutto il pomeriggio.
Con tutta l'esperienza maturata negli anni, con quei due premietti in bacheca, con le parole che frullano in testa e i libri che macerano sugli scaffali, in realtà sono molto meno di Tizio, quasi nulla paragonato a Caio, addirittura inesistente a fianco della vulva di Sempronio.
(Quest'ultima affermazione poi è facilmente verificabile: se in una foto ci fossimo io e la vulva di Sempronio, sicuramente guardereste solo lei).
Chimmisicaga, insomma?
...
Finita la riunione, ripasso per Beato Angelico rincorrendo la 90.
Il tizio con la fisarmonica non c'è.
Peccato.
Se ci fosse, gli chiederei
-Perché qui?
e magari chi-lo-sa si finirebbe a berci un rosso al bar, con buona pace di quelli che
- Alle cinque il the o se proprio un crodino
Glielo chiederei,
-Perché
ma giusto per rompere il ghiaccio.
La risposta credo di saperla.
E' la stessa che mi sono dato io.
Quella che dovrei dare a chi da domani mi chiedesse
- Perché fai un laboratorio ché magari non lo caga nessuno perché non sei famoso e finisce che hai lavorato un sacco per non prender due-euri-due?
Perché non farlo, se c'è la possibilità che anche uno solo mi veda e, per qualche ora, stia bene pensandomi?
Grazie della non-bevuta, tizio della foto.
A
giovedì 10 dicembre 2009
Carne bovina, grazie.
Dopo il lavoro sono andato dal Miomacellaiobis.
Il Miomacellaio ufficiale è un tipo giovanile ed è una festa ogni volta che gli chiedo un arrosto, però ahimé sta al paese e chiude più o meno quando io esco dall'ufficio, a tre quarti d'ora di metro da lui.
Quindi da un annoemezzo in qua a prender la carne vado dal Miomacellaiobis, che sta a due passi dalla fermata della rossa.
...
Il Miomacellaiobis è sull'orlo della pensione, e ha iniziato quando serviva una licenza specifica per macellare ciascun tipo di carne.
La licenza per i polli.
Quella per i suini.
Lui è specializzato in bovini, e ha la licenza bella ingiallita appesa sopra la trippa.
Ci ho fatto caso appunto ieri, quando la signora prima di me, indicando un piedino di vitello, ha ingenuamente chiesto dello zampone.
- Ai miei tempi, si imparava un mestiere e uno solo. Mica è lo stesso fare una costata di manzo e una costina di maiale, cosa crede? Un mestiere, a saperlo fare bene, bastava e avanzava per campare, una volta... Mica come adesso, che tutti sanno fare tutto, ma poi alla fine...
Alla fine non sanno fare niente.
Ecco, il Miomacellaiobis, che te ne può raccontare mille su Milano ma da cui non ti aspetti proprio perle di saggezza, ieri invece ne ha tirata fuori una. E mi ha lasciato a pensarci su tutta la notte. Perché lui era specialistico quando ancora non si sapeva che la verticalizzazione era la chiave del successo. E perché non ha mai dovuto reinventarsi, sapendo fare il suo mestiere.
Eppoi perché mi ha fatto i complimenti per il mio fisico, ma questo credo rientri nelle capacità relazionali del buon commerciante.
Insomma: un macellaio bovinista non sarà mai un diversamente occupato.
Non gli interessa imparare l'inglese, aggiornare i software anti-virus, imparare a usare SAP.
Gli basta tenere i coltelli affilati e le vacche grasse.
Una volta non c'era mica tempo per reinventarsi ogni tot anni: bisognava scoprir la propria strada fin da piccoli, e poi via a cavalcare la professione fino alla pensione. E pazienza se la strada non era quella giusta: per i rimpianti ci sarebbe stato tempo dopo.
Non so se era meglio prima o se adesso sia più divertente.
Però di certo gli hamburger di ieri sera erano meglio di quelli del fast food.
A
mercoledì 9 dicembre 2009
Man-at-work
Oggi la Miacoscienza si è ricordata che avere un contratto da onorare significa che comunque sto lavorando.
Buffo le sia venuto in mente oggi che ho fissato un colloquio di lavoro.
...
Le mail e i CV e le presentazioni piantati nelle caselle di mezzo mondo hanno finalmente dato frutto? Non proprio. In effetti, come spesso capita, è stato il solito passaparola.
L'amico ha detto all'amico che ha detto all'altro amico che ha detto a.
Risultato: colloquio. Non so bene per cosa, ma mi auguro non sia per il trattamento dei rifiuti tossici.
Non sono -per ora- granché agitato, o inutilmente speranzoso, o teso. Mi sento quasi in imbarazzo, per la natura "informale" del contatto.
In ogni caso... Chiedo un giorno di ferie.
Cioè: chiedo un giorno di ferie per trovare un lavoro.
Faccio vacanza per potere in futuro chiedere altre vacanze, ma a una persona diversa da quella a cui le chiedo ora.
Non è proprio un paradosso, però è buffo.
...
Dal punto di vista della Miacoscienza, visto che chiedo le ferie, significa che tutto sommato sto ancora lavorando.
Questo contratto-da-onorare è comunque l'occupazione che ho scelto negli gli utlmi 18 mesi.
Gli stimoli sono quelli che sono, e credo di aver già chiarito in qualche vecchio post che quello che faccio non mi fa sentire come Colombo che scopre l'America...
Però.
Però la Miacoscienza questo mica lo sa.
A sentir lei, se qualcuno mi paga per un servizio, 'sto servizio si merita di averlo.
E come darle torto?
Torno al lavoro, gente. Che per oggi non è capire chi sarò domani, ma ricordarmi chi ero ieri.
A
martedì 8 dicembre 2009
Oh So Bright!
Così tante idee geniali che mi stupisco non mi abbia ancora scritturato Spielberg.
Anche se effettivamente per vederle Spielberg dovrebbe abitarmi in testa.
...
C'è questo tizio che chiamiamo C.
C è un uomo di mezza età, non troppo bello né particolarmente simpatico, con quell'occhio furbo che non ti fideresti neppure a mandarlo a prendere le pizze all'angolo. Tanto per intenderci, C mi è stato simpatico più o meno dieci minuti, poi ho capito che mi avrebbe venduto sua madre se avesse avuto il vago sospetto che per averla avrei pagato. Da quel momento, C mi piace come la cicca nei capelli.
Però C sa come reinventarsi. E per questo, simpatia o meno, val la pena raccontare la sua storia.
C lavorava come commerciale in un'azienda che fabbricava credo bruscolini.
In pratica convinceva le persone che
"Senza bruscolini negli occhi al mattino è come non aver dormito"
oppure che
"Un bruscolino è un investimento"
o anche
"Se il tuo vicino ha più bruscolini di te che figura ci fai?"
E cose così.
Risultato: la gente pagava per cose poco utili o disutili, o magari dannose, e per un certo tempo era anche contenta di farlo. Passato l'instupidimento, però, si accorgeva di aver pagato bruscolini come fossero pepite e giustamente cercava di rivalersi.
Probabilmente per questo, o forse per aver provato a vendere sua madre al principale, ma-chi-lo-sa, un bel giorno C si è trovato senza lavoro, senza clienti e con un sacco di gente disposta a testimoniare pur di vederlo a San Vittore.
Insomma, come me doveva reinventarsi.
Ora, capita che a C, credo in seguito a una borsettata in testa da sua madre, venga un'idea:
"Se io unissi tutti i bruscolinifici in una bella rete di mutuo soccorso, mi prenderei una percentuale delle vendite e loro sarebbero felici di avere una specie di lobby".
Non avendo molto altro da fare, prende il telefono e chiama tutte le aziende di bruscolini, tranne ovviamente quella per cui lavorava. A suon di blabla li lusinga, li blandisce e alla fine li convince.
C non fa nulla o quasi, se non ogni tanto sbattersi per cercare nuovi iscritti, ma guadagna il suo bello stipendio e probabilmenmte prima o poi riuscirà ad appioppare sua madre a qualcuno.
...
E' chiaro che C non sia un esempio di etica com' è chiaro che non sia un genio della finanzia o dell'impresa. Ha solo avuto un'idea, e neppure troppo buona.
Però ci ha creduto, ci si è impegnato, ha concentrato le sue risorse su quello e alla fine, premio alla costanza e alla dedizione, ha raggiunto il suo obiettivo.
Ecco, credo che nel limbo della diversa occupazione la costanza premi quanto le buone idee.
Non so a voi, ma a me davvero salta in testa un progetto al giorno.
Quanti arriveranno al traguardo? Da quanti ricaverò qualche soldo, oltre che qualche soddisfazione? Quale mi dirà che mestiere finirò per fare?
Di tutte queste lampadine, quale rimarrà accesa fino a domani?
A
lunedì 7 dicembre 2009
Ponte sullo slargo di Cairoli
Se anche il tempo non esistesse, lui lo farebbe passare lo stesso.
Un tac dopo un tic eccetera, un giro dopo l'altro.
...
Ponte dell'Immacolata, che a Milano è anche Sant'Ambrogio.
Mercatini, fiere, serate libere. Chi non lavora approfitta per far la passeggiata in centro, via Mercanti, largo Cairoli, e per i più coraggiosi c'è la Fiera di Rho, che un mio amico una volta l'han trovato allo stand della Campania quasi soffocato dalle mozzarelle di bufala omaggio.
Siccome anche il mio contratto-da-onorare oggi mi dice vacanza, ma non sono così coraggioso da tentare la Fiera né così masochista da avventurarmi in centro, avevo programmato di pisolare fino all'ora di pranzo, quindi di farmi un riposino per digerire.
Ieri mi sono lasciato travolgere da piacevoli discorsi e gustosi alcolici fino a notte fonda, pregustando la nanna fino a tardi.
Invece tu pensa la Miacoscienza mi ha tirato in piedi più o meno alla solita ora (la foto all'orologio l'ho fatta solo prima di cominciare a scrivere), a hai voglia a rigirarti nel letto per ritrovare il sonno: quello ormai è uscito e conoscendolo lo rivedo stasera sul tardi.
Perché, se oggi è festa?
...
Beh, avere tutto o quasi il proprio tempo a disposizione è più o meno come avere un cane. E' bello scucciolarlo, ma alle sei del mattino devi portarlo al parco, se non vuoi che ti caghi nelle ciabatte.
Il mio tempo liberato-da-contratto mi sta responsabilizzando più di quello vincolato-da-contratto.
Siccome il mio vero lavoro è la mia vita, nel senso che il mio unica occupazione è imparare come vivrò, trovandomi nel limbo della differente occuopazione, non è che possa semplicemente prendermi una pausa. Esattamente come non si può decidere di avere un cane solo di giovedì.
Contratto o no, essere me è un affare a tempo pieno.
Questo credo intenda la Miacoscienza, quando mi sbatte fuori dal piumone.
Posso stabilire come gestire il mio tempo, e inculo a clienti-capi-collaboratori. Però la Miacoscienza si è arrogata il diritto -e come negarglielo?- di tenermi in riga. Non ha nulla a che fare con la morale e il policamente corretto, la Miacoscienza: mi ricorda piuttosto che le lancette continuano a girare e che, anche se il tempo non esiste, io ho venti giorni per reinventarmi nuovo, prima che il contratto-che-vado-onorando scada. Non sono tanti, santi o non santi.
Ponti o non ponti.
Feste o non feste.
Ringraziate -o sfanculate- la Miacoscienza se sogno per iscritto invece di stare come tutti nel letto.
A
venerdì 4 dicembre 2009
Manchester-on-my-mind
Manchester.
And I can prove it: f@ck you Poshy-Beky.
...
There's this old friend o'mine, we can call him Du.
He used to live here in Manchester, but he's born in Italy, so
ITALIAN
on his passaport, and
ITALIAN
on his DL, and
ITALIAN
when anybody ask him which his native-language is.
Well, like most of us, Du's looking for a new job.
What you need to know about his CV is that his former job had a "chief" in the title.
I know what you're thinking. Please stop.
That's NOT true: he's not a jerk, or a shark neither. Du's good in his job, and that's all.
Financial Crisis hit Du's company hard, so Du became "avaible".
Yesterday Du had an interview.
QuestionAnswerQuestionAnswerQuestionAnswer as usual, and the answers met the questions and everybody smiled and Mr.Du was reasonably happy.
Than
"Oh you're from Italy... Can't believe"
"Well, actually I was born in It..."
"I am sorry, but your former experience is not enuogh for the position we're looking for"
"What? But you said it was enough when you first phone me..."
"That's true. What I mean is not enough for an Italian. You know: you've got all those stories to be ashamed of..."
"Stories... ?"
"Oh, y'know... Mussolini, Mandolini, La dolce vita, Mr. B..."
"What the hell has those things to do with me?!?"
"Well, it's not you... But you italians have to prove your... Trustworthiness. You as a people"
...
Be honest, was not exactly those words... But trust me: this was the meaning.
We've plenty of happy-ending stories 'bout italians having great jobs outside Italy, but maybe we've got to start from the beginning, telling those stories.
Well, I'm a british citizen, so chemmenefrega?
A
mercoledì 2 dicembre 2009
MoneyMoneyMoney
Nessuno si prostituisce, se non per soldi.
Lavorare si deve.
Aver principi si dovrebbe.
Indicativo vince su condizionale.
Per esempio c’è questo ragazzo intorno ai 35 che chiamiamo Qu.
Fa il giornalista, e crede fermamente che girare a sinistra sia meglio che restare a destra.
Però a sinistra gli farebbero fare volontariato, mentre a destra lo pagano, quindi lecitamente si prostituisce. Scrive sulla Padania, se ve lo stavate chiedendo.
Loro regolarmente lo stipendiano ormai da un pezzo, e promettono con solenne contratto che continueranno a farlo a tempo indeterminato. Lui allora dice che gli piace il verde anche se lo sanno tutti che gli unici maroni che gli interessano sono quelli glacé.
Però siccome è un buon giornalista, che ama fare il suo mestiere, e per di più è una bella penna, tutti vivono felici e contenti.
Fine.
Qu è un occupato nient’affatto “diversamente”.
Lui non deve chiedersi quello che per un post-precario come me ormai è un mantra
“Cosa sarò quando finisce il contratto-che-vado-onorando?”
Non deve reinventarsi, inventatosi com’è nel modo giusto fin dall’inizio.
Come prostituta.
Ma c’è davvero qualcuno che si formalizza su certe cose, al giorno d’oggi?
…
Dopo Qu ci sono io, che oggi ho passato la giornata a condire la merda del tal cliente con un po’ d’aceto balsamico, nella speranza di migliorare almeno l’odore.
E qualche minuto fa mi sento dire che
“No guarda lui la merda la preferisce liscia: a lui gli piace così, cheffarci?”
Appunto: cheffarci?
A cosa serve un giornalista, o un esperto di comunicazione, o persino un regista, se tanto il criterio è che chi mette i soldi decide?
…
Ochei: anch’io mi sto prostituendo, visto che bene o male quella tal merda alla fine l’ho servita.
Ma è chiaro che la mia condizione e quella di Qu non sono neppure simili: lui fa il suo lavoro e ha una serie di garanzie in merito alla possibilità di continuare a farlo.
Dove sono io invece il-mio-lavoro non è proprio richiesto.
Sono l’equivalente dell’operaio generico non specializzato che cita Giolitti e fa rivendicazioni sindacali, mi sa.
Qu approverebbe.
Beh, almeno in privato.
E in pubblico chi lo prende in chiurlo sono io.
…
Un mese scarso e forse finirò a fare il gourmet, non essendo richiesto come giornalista.
Non sarei male: se non altro non mi piace la merda.
Un mese scarso e sarò pronto ad abboccare a un altro amo, purché fatto su nei centoeuro.
Un mese scarso per scoprire che ormai la strada è così affollata, che anche tra mignotte c’è la corsa ai saldi.
A
Chiuditi Sesamo
Mica detto che ci si passi, dalla finestra, comunque.
Intanto però, sei sicuro che non ti mancherà l'aria.
...
Ormai una settimana che mando curriculum, e l'unica risposta che ho ricevuto è stata un convinto nograzie.
Ieri parlavo con una collega, nell'ufficio oresso cui sto onorando-il-contratto, e mentre le dicevo che
"Sono convinto della mia scelta!"
"Sono contento!"
"Ho fatto al cosa giusta!"
sentivo la faccia sciogliersi come il cerone dopo un'ora di riflettori.
Il punto è che non so quali alternative avrei avuto.
Se sei di troppo, l'unica è andarsene prima che ti mandino via.
Non è proprio coraggio, né orgoglio e neppure un'ipertrofica dignità. E' senso drammatico.
La storia ha raggiunto il suo climax, quindi è meglio tagliare, perché da lì in poi sarà solo un naufragare verso il finale. E tanto più a lungo si tirano le cose, tanto più patetiche diventano.
Il problema è che, a differenza dei romanzi e dei film e degli spettacoli, la vita continua anche dopo i titoli di coda.
E non è mica facile ricominciare a raccontare storie appena finita una storia.
Soprattutto se quella storia sei tu.
...
Ma quando chiudi una porta, davvero capita che qualcuno apra una finestra.
Ora, non aspettiamoci che la finestra sia più larga, o comoda, o agibile della porta i questione. Però effettivamente qualcosa capita.
Tutto quello scrivere che ho fatto quasi di nascosto negli ultimi mesi, incastrato tra il rientro sfatto e la sveglia antelucana, tutte quelle idee nei cassetti, tutti quei mipiacerebbe, adesso sono la mia professione.
Un blog di storie, mie ed altrui.
I racconti.
Il teatro per i ragazzi.
Ancora un mese giusto -vacanze a parte- di questo contratto terminale, e nessuna seria prospettiva all'orizzonte. Eppure la contraria in questa casa è tale e tanta, che non si può proprio rimaner fermi...
A
martedì 1 dicembre 2009
Naso di prof con coscia
Ma è altrettanto vero che c'è un corpo discinto.
Pare che la prima cosa che si vede sia sempre quella più familiare all'osservatore.
E pazienza se questo significa che dovrei passare più tempo su U-Porn.
...
Ieri l'altro un certo Pier Luigi Celli, già direttore RAI, ora direttore generale della LUISS, scrive una lettera aperta indirizzandola al figlio.
Questa.
E' un po' retorica, naturalmente, ma, in un'epoca in cui con una scatoletta grande un palmo si guarda in faccia una persona che sta a mille chilometri di distanza, chi scrive deve essere retorico.
Dato il tema, poi, è chiaro che la cosa mi colpisca e mi riguardi.
C'è dentro molto dello sconforto, della delusione e della rabbia che mando giù tutti i giorni insieme al caffélatte. Però non credo ne avrei parlato qui se non fosse stato per i commenti che questo Celli ha suscitato.
Vi invito a leggere qualcuno di quelli postati sotto l'articolo -2100 mentre scrivo, ma non dubito cresceranno- ma anche di cercarne in giro per la rete.
"Hai rubato anche tu, Celli, quindi vaff@"
dice uno.
"L'ha pubblicato Repubblica per fare intendere Burlasconi-vaff@"
dice l'altro.
"Se avessi i soldi che ha lui seguirei il consiglio, ma mio padre non era direttore della RAI quindi vaff@ tutti!"
dice il terzo.
E via così tra chi è d'accordo, chi è d'accordo a metà, chi è d'accordo ma gli dispiace, chi è in disaccordo però approva eccetera eccetera eccetera. Eccetera.
E' bello che ciascuno dica la sua. Non scriverei un blog se non pensassi che esprimersi davanti a una platea potenzialmente mondiale sia un modo efficacie per rinsaldare una rete umana e civile sempre più labile.
Il guaio è che a volte questa folla virtuale fa paura.
Non per quello che dice, ma per quello che vede.
Insomma, un padre scrive una lettera al figlio. Dice una serie di blabla magari giusti, magari sbagliati, magari indifferenti. Viene pubblicato.
E la prima cosa che viene in mente al Mariorossi di turno sono piani di destabilizzazione, bestemmie contro il Governo, l'amor-patrio-offeso, il magnamagna, la desolazione-dei-meritevoli.
E i vaff@.
Un sacco di vaff@.
A chi non la pensa come lui a chi è più fortunato a chi è migliore a chi parla una lingua diversa a chi non gli piace la Nutella a chi non si guarda i pornazzi a chi c'ha i capelli cosà a chi legge ma poi non commenta a chi.
Vaff@.
...
Beh, io non so se finirò a lavorare all'estero.
Non so più neppure se ho i meriti e i titoli per ricevere uno stipendio, in euro in dollari o in yen.
Però ho imparato oggi che, per compensare una certa evidente sudditanza psicologica al mondo accademico che mi impedisce di vedere subito la donnina nella faccia del professore, dovrò guardarmi con interesse passerelle, video rap e trasmissioni TV. Tutti pieni di cosce, chiappe e decolté più o meno debordanti. Abituarmi a un mondo più tornito di quello delle bilbioteche, delle librerie e delle discussioni noiose.
Insomma, viva la figa.
Motto intramontabile che cavalca le generazioni.
Ma al Mariorossi, che da ogni bla cava un vaff@, cosa servirà mai per compensare?
A
lunedì 30 novembre 2009
Storia Alla Panna
De gustibus.
Però anche chi non la ama ammette che, fatta com'è di latte e centrifuga, la panna è grassa e fa ingrassare solo a passarci vicino.
Quindi, tra quelli che non mangiano la panna c'è un'infelice porzione, una minoranza forse non poi così minoritaria, una disgraziata fetta di campione che non si contiene per inappetenza o question di sapori, ma per paura di rovinarsi la linea.
...
C'è questa ragazza che chiamiamo Emme.
Brava, sveglia e carina come dev'essere la protagonista di una storia in cui confluiscono tante storie diverse eppure simili. Emme studia da un anno per fare un esame a Roma. Quel tipo di esame di abilitazione al termine del quale sei ufficialmente "professionista" nel tuo mestiere.
Per prepararsi, in ottemperanza allo statuto dell'Ordine professionale di cui vuol far parte, sta facendo il tirocinio, cioè lavora. Certo: un lavoro malpagato, a termine, non particolarmente gratificante. Però un lavoro. Per di più, il lavoro che ha scelto e che la appassiona abbastanza da studiarci, appunto, un anno.
Mese dopo mese, il giorno dell'esame si avvicina, e ormai siamo agli sgoccioli.
Dopo tutte quelle ore a pensarci, un po' di ansia è naturale. Emme non dorme bene, continua a riguardare gli appunti, si inventa domande e temini per vedere se riuscirebbe a svilupparli. Prende il libro in mano per un ripasso veloce, tanto per non consumare la notte guardando il soffitto, per di più al buio. Apre su un capitoletto a caso, e guarda un po' parla delle retribuzioni, delle condizioni di lavoro, dei diritti della categoria. Diritti sacrosanti, beninteso.
Però, siccome a Emme hanno insegnato a mettere insieme i punti per vedere che disegno ne esce, dietro questi Diritti lei intravede la catastrofe.
SE tutto andasse bene
SE passasse l'esame
SE ottenesse quel titolo per cui lavora da tanto e che insomma le starebbe così bene accanto al nome...
Lavorerebbe ancora? Il suo attuale direttore-superiore-tutore, così gentile a malpagarla ora per prepararla all'esame, la vorrebbe ancora come suo pari, invece che come tirocinante? Non preferirebbe forse una ragazzina più giovane, più inesperta e, soprattutto, legalmente più economica?
Domattina l'esame, e la paura che potrebbe essere l'ultima cosa che fa nel mestiere a cui tanto tiene.
"Ne vale la pena?"
...
Ora, come finisce la storia di Emme non lo so e forse non è neppure importante.
Però la morale -se servisse una morale- è già morbida e montata: vietarsi, o anche solo pensare di vietarsi, o persino aver paura di doversi vietare qualcosa di buono e giusto e appagante, che si è guadagnato con fatica o anche solo che si è pregustato a lungo, è un fallimento della società.
E un'occasione persa per me che nella società ci vivo.
Non so quanta colpa vada agli stilisti che scelgono modelle anoressiche, agli Ordini professionali che per evitare alle categorie di morir d'inedia le ammazzano a pistolettate, e alla Crisi, che ormai giustifica tutto e il contrario di tutto. Però, fossi in Emme, quella panna l'aprirei proprio...
A
venerdì 27 novembre 2009
Vuoto di custodia in poco fuoco
Cerchi la custodia. La trovi. Ti aspetti il DVD.
Invece quello manca, perso in chissà quale lettore o su chissà quale scrivania.
Delusione e senso di colpa per quella volta che
"lo metto a posto dopo".
...
Oggi apro la mia casella di posta ed è vuota.
Ieri e ieri l'altro e il giorno prima ancora avevo fatto il compitino: inviare curriculum.
Oggi che è venerdì controllo quante risposte ho ricevuto.
Nessuna.
Inviare una mail è come lasciare una pistola in scena: tutti si aspettano che prima o poi spari.
Siccome se invio una mail è perché mi piace quello che ho scritto, mi aspetto sempre che dall'altra parte della rete, chi la legge abbia piacere di rispondermi.
Invece quasi sempre succede DELETE, o "SEGNA-COME-LETTA", o "quando ho tempo la rileggo".
Sicuramente a volte succede anche
"Che cazzo ha scritto?!?" e "Ho già mal di testa e invece di questa mi leggo il bugiardino dell'Aulin".
Cerco con impegno sulla mia rubrica. E sui siti lavoro. E sulle pubblicità.
Ma la casella rimane vuota, e la paura è che semplicemente i miei invii siano fuori fuoco, come foto venute male.
Non abbiano preso bene la mira.
Non abbiano avvisato il modello di restare fermo.
Forse quelli a cui scrivo semplicemente non si aspettano di ricevere qualcosa da me, e quindi non si curano di guardare in macchina, di mettersi in posa, di rendermi il lavoro facile.
In ogni caso, delusione e un po' di senso di colpa perché
"Secondo me qui mi piacerebbe lavorare",
senza aver pensato che non sono così indispensabile al sistema produttivo italiano...
Boh.
Buon venerdì, comunque.
A
giovedì 26 novembre 2009
Goooood-morning-Milan!
Ochei, è anche un telefono. Ma non viviamo forse nell'era della convergenza?
Comunque: anche stamattina, come ogni feriale da un annetto e mezzo in qua, ha suonato alle 07:10 per ricordarmi che la metro non aspetta i miei comodi.
E anche stamattina, come ogni feriale da un anno e mezzo in qua, mi sono girato dall'altra parte.
Una cosa buona della mia sveglia è che ha una suoneria orribile.
Fastidiosa. Insopportabile. Ma soprattutto implacabile.
Magari si ferma dopo un minuto di trombe del giudizio, ma poi ricomincia a strillare da capo, fin quando non mi decido a spegnerla.
L'intervallo tra un allarme e l'altro è di cinque minuti.
Quei cinque minuti sono i più celebralmente attivi della giornata, per ogni feriale da un annetto e mezzo in qua.
Strascichi di sogni. Illuminazioni. Frasi&citazioni e quel
"Vaffanculo!"
che ieri non ho avuto la prontezza di dire all'automobilista che mi ha quasi investito scambiando viale Monza per l'autodromo di.
Poi domande.
"Bene: cosa faccio oggi?"
Lavoro. Ochei, questo è facile. Mi alzo e mi lavo e mi sbarbo e mi vesto e mi intabarro e mi faccio visionare il biglietto e mi schiaccio tra i pendolari e mi scendo e mi spoglio -del soprabito- e mi siedo e mi accendo il pc, come in tutti i feriali dell'ultimo anno e mezzo.
Però non è proprio come sempre: perché adesso non sto lavorando... Sto onorando-il-contratto.
Il che significa che quando un collega arriva eccitato per un certo articolo o progetto o proposta, io per quanto mi sforzi non riesco proprio a farmi brillare gli occhi.
O a commentare argutamente. O a sfornare idee complementari e ornamentali.
La mia testa, forse non proprio lecitamente, gira su altre orbite.
Certo che ho idee. Certo che ho passioni. Certo che ho un piano.
Solo che la sospensione-del-disinteresse verso quello di cui adesso tratta la mia redazione non è più obbligatoria. E di certo non mi viene spontanea. In fondo, non rinnovo il contratto proprio per questo. Sta raccontando fuffa, ma soprattutto sta cercando di raccontarla male e per il motivo sbagliato.
...
Nel letto ho la sensazione che alzarmi non sia una buona idea. Mi alzo lo stesso, perché onorare-il-contratto è qualcosa che posso e devo fare, anche senza motivazioni particolari. Però mi servono dei perché-e-percome per fare andare le gambe.
(Senza un'idea non ci si alza dal letto, purtroppo, Morgan dixit)
Quindi i perché-e-percome me li invento.
Cercare un'agenzia cui mandare il CV.
Finire quel racconto.
Scrivere un post.
Raccontare storie.
Ridere e dire cazzate.
Ridere e dire cose serie.
Ridere e basta.
Non sono sicuro che questo voglia dire essere ottimisti, e quindi mettere in pratica il consiglio di amici&lettori&presidenti-del-consiglio. Ma è la mia scusa per spegnere la suoneria.
Questo, e il fatto che ha un suono orrendo.
Anche stamattina posso avere qualcosa di interessante da fare, giusto?
E se per farlo dovrò ritagliare i minuti tra attività noiose ma -ancora per poco- retribuite, pazienza.
A
mercoledì 25 novembre 2009
Ticket-to-ride
Questi ad esempio sono biglietti omaggio.
Un giornalista -a meno che non sia un giornalista di cronaca, che se una cosa non sanguina mica la guarda- li chiama accrediti.
Funzionano così: tu o la redazione per cui lavori chiama il teatro o il suo ufficio stampa e
"Ne mandiamo uno a vedere lo spettacolo così ci scrive la recensione"
Il teatro risponde
"Grazie, chi dobbiamo accreditare?"
ed evidenetemente intende
"Chi dobbiamo fare entrare aggratis nella speranza che ci faccia pubblicità?"
C'è un po' di mercantilismo in tutto questo ma non guardiamo sempre il lato economico.
Guardiamo il lato umano.
Io vado a teatro a scrocco.
...
L'accredito, per un giornalista, è l'equivalente dello sconto del 30% sulle tute da sub per un commesso della Decatlon. Voglio dire, se fai il commesso delle tute da sub in Decatlon mi auguro che ti piaccia anche usarle nelle immersioni. Quindi quando ne esce un modello nuovonuovo, essere il primo a potersela comprare e per di più pagandola meno è una bella gratificazione.
Sai che soddisfazione farci fish-watching, poi.
Bene, se scrivi recensioni teatrali si suppone che andare a teatro ti piaccia, e che tu sia felice quando puoi vedere uno spettacolo in anteprima, per di più gratis. Sono i tuoi benefit aziendali.
Ma non è solo questo: anche se 'sto mercantilismo serpeggia un po' dappertutto, un giornalista può illudersi che il suo giudizio valga davvero qualcosa, perché avrà la responsabilità di far capire ai lettori se domani sera pagheranno il biglietto o guarderanno la maratona di Chivuolessersagittario in tv. Mica poco.
Bene, oggi, mandato il curriculum quotidiano, sarei stato pronto per andare a teatro. Per recensire uno spettacolo che, stanti i comunicati stampa, è un bello spettacolo.
Avevo la voglia, la freschezza e persino lo spirito critico con le lame appena rifatte.
Invece resto a casa. Nulla di male: a teatro ci è andato un collega. Capita. Si chiama turnazione, e in una redazione ha un significato migliore di quello che ha a Termini Imerense, per dire un posto.
"Domani leggo al recensione e decido se andarci per i fatti miei"
penso mentre taglio l'insalata.
Invece no.
Perché il mio collega, quello che ha preso l'accredito al mio posto, ha deciso che stasera non gli andava di uscire.
Non è malato. Non ha avuto problemi a casa. Non l'hanno rapito i Ravanelli Cornuti di Mongo.
Non
Gli
Andava.
Behcazzosenonèunmalequestodadomani
-respiro-
bestemmiateinchiesainvecedidireamen.
Perché ha fatto fare una figura barbina alla redazione per cui lavora, e la prossima volta
"Ne mandiamo..."
"Mandate chi volete basta che non sia di nuovo l'Uomo Invisibile"
Perché a quello spettacolo potevo andarci io e cazzo a me sarebbe piaciuto.
Ma soprattutto... Perché quella gratificazione, quel benefit, quel valere qualcosa di cui sopra, probabilmente è una piccolezza, però credere che qualcosa conti, ed essere disposti, per averla, a fare qualche sacrificio, anche a superare non dico un'invasione di tuberi ma almeno un maldipancia...
Insomma questo fa la differenza fra chi un lavoro se lo merita e chi se lo trova.
Tra chi un biglietto se lo guadagna e chi semplicemente... Va a scrocco.
E adesso non ditemi che l'omino delle tute al decatlon non sa nuotare, sennò davvero si ribalta il mondo.
A
martedì 24 novembre 2009
Metro Linea 2
Mezz'ora abbondante, da casa al lavoro. Città di Milano.
Linea due prima, poi due fermate di rossa.
Milano è la sua metropolitana, senza dubbio. Di mattina incazzata, di sera sfatta. In mezzo vuota.
Il mio problema oggi è non incontrare nessuno.
Non è difficile nel caos di millemila individui concentrati a proteggere il loro angolino di intimità, chi leggendo un giornale accartocciato a due millimetri dal naso, chi chiudendo gli occhi per recuperare qualche minuto di sonno, chi ancora fingendosi interessato alla tal pubblicità che in realtà non legge neppure.
Però il pericolo di un'occhiata casuale, di uno scontro nella calca, di un colpo di tosse a volume troppo alto c'è.
Uno mi riconosce e
"Allora, come va?"
con tutta l'innocenza del disinteresse.
Cosa dovrei dire, allora?
"Tutto bene: ho mollato il lavoro"
Oppure
"Cosìcosì: ho mollato il lavoro"
Oppure
"Malissimo: ho mollato il lavoro"
Non richiesto, parlerei del lavoro.
Perché ahimé il lavoro è l'angoscia delle prime ore della mia giornata.
Poi passa. Ma poi ritorna.
Allora in metro ho gli occhi sfuggenti del solito, per evitare ogni contatto.
Per evitare di dire a voce quello che poi scrivo qui.
Non so se si tratta di ipocrisia, di pusillanimità o di paura.
Di certo, è difficile non sentirsi in imbarazzo di fronte a uno incravattato che ti parla della sua prossima Ferrari quando tu non sei sicuro di poter fare un altro pieno alla Matiz.
Magari è solo orgoglio.
In effetti mi dicono tutti che è un brutto difetto. Anzi: un lusso.
E i lussi mica tutti se li possono permettere, sennò che lussi sarebbero?
...
D'altronde, bisogna ricordarsi che la metro è come Milano.
Quello che c'è qui è la città, più o meno.
Gente incazzata al mattino. Sfatta la sera. Assente nel mezzo.
Gente che non sembra troppo felice, anche se più tardi andrà a sgasare col Ferrari.
Che infondo fa tutti i giorni esattamente quello che cerco di fare io adesso: evitare il contatto per non dover parlare di se'.
Vuoi vedere che non sono l'unico angosciato in metropolitana?
Che ci ho messo trent'anni a capire come sta la maggior parte delle persone che ho attorno la mattina?
E che, peggio di tutto, sono stato uno di quei rari coglioni che per educazione, non per interesse
"comeva?"
ti chiedono, rovinandoti così la giornata?
Chi lo sa...
A
lunedì 23 novembre 2009
Quanti tasti hai?
Ha 103 tasti.
Scommetto che voi non avete contato i tasti della vostra, ma molto probabilmente non è molto diversada questa.
Tutti hanno una tastiera.
Tutti battono i tasti.
Tutti sanno schiacciare Alt gr+ò per fare la @.
E forse è questo il problema.
Cioè, il fatto che tutti sappiano come si fa a scrivere con una tastiera per un sacco di gente implica che tutti sappiano scrivere. E non dico scrivere come
unlitrodilatte paneafette detergentemamiraccomandoquelloblu
Intendo raccontare le cose senza essere lì a parlartene.
Il mio mestiere, o presunto tale, e quello di un sacco di persone con cui ho parlato in questi giorni.
Qualcuno dice
"Non ci si improvvisa chirurghi, ma tutti pensano di poter fare i giornalisti"
qualcun altro
"lavoro qui da due anni ma mi cacceranno via perché tanto, per fare quel che faccio io, a loro basta uno che sappia fare copiaincolla"
Un altro ancora non mi dice niente, e lo capisco: una bestemmia non è una buona argomentazione quindi meglio tenersela in bocca, affare tra sé stessi e iddio per chi ci crede.
Per quanto sia stupido pensare che chi sa picchiare un chiodo nel legno sappia costruire un armadio, un sacco di persone crede davvero che per raccontare una storia basti saper scrivere; che cucinare un CS sia come fare il tema delle medie; che nulla sia più inutile di un redattore che controlla le fonti prima di pubblicare.
O meglio: il problema sono le aspettative. Magari qualcuno è anche convinto che far le cose per bene sia difficile ma... A chi interessa far le cose per bene? In quanti si accorgeranno dei refusi? Chi preferirà l'armadio solido a quello economico?
...
Anche oggi ho mandato il mio curriculum quotidiano.
Ne mando uno al giorno perché non voglio mandarli a caso.
Cerco un'agenzia, o una testata, o una casa editrice che si occupa di cose che mi piacciono e su cui mi sento ferrato. Mi navigo il sito. Leggo degli articoli, se ne trovo.
Mi cerco anche i nomi degli altri redattori, e dei direttori, e persino degli editori.
Tutto mentre onoro-il-mio-contratto, ovviamente, concentrando le ricerche nella pausa pranzo che, facendo felice il tal ministro, consumo tendenzialmente davanti al PC.
Insomma: studio. E dopo aver studiato, invio, con tanto di lettera di presentazione pensata per metter in luce chessò che ho già parlato delle Alpi Apuane, del verde della Garfagnana, del rombo del trattore in salita. Credo a quel che scrivo e quel che scrivo in fondo mi piace, perché è un pezzettino di me.
Non so se questo cambi qualcosa. Non credo che importi davvero alla maggior parte delle pesone che si troveranno a valutare il mio curriculum, né mi illudo che qualcuno pensi ch'io sappia scrivere perché ho contato i tasti della mia tastiera.
Però...
Però c'è qualcosa che fa la differenza.
E' la voglia. Non la volontà. La voglia. Il piacere. La passione.
Non racconto storie perché altrimenti non mangerei. Non lo faccio perché qualcuno mi obbliga. Neppure perché non ho nient'altro da fare.
Lo faccio perché ne ho voglia.
Perché non è la stessa cosa per me se la tastiera sta zitta o se ci batto sopra, e ancora se è solo freccespazioalt per qualche emulatore di giochi da bar o tabtabtab per passare da un menù a tendina all'altro. Perché se m'esce qualcosa di comprensibile dalle dita e qualcuno lo legge la giornata è fatta, nonostante non ci sia un contratto.
Non dico che la mia tastiera sia diversa dalla maggior parte di quelle che state usando voi.
E infatti mi piacerebbe scrivere anche sulle vostre.
A