lunedì 23 novembre 2009

Quanti tasti hai?

Questa è la mia tastiera.
Ha 103 tasti.
Scommetto che voi non avete contato i tasti della vostra, ma molto probabilmente non è molto diversada questa.
Tutti hanno una tastiera.
Tutti battono i tasti.
Tutti sanno schiacciare Alt gr+ò per fare la @.

E forse è questo il problema.

Cioè, il fatto che tutti sappiano come si fa a scrivere con una tastiera per un sacco di gente implica che tutti sappiano scrivere. E non dico scrivere come

unlitrodilatte paneafette detergentemamiraccomandoquelloblu

Intendo raccontare le cose senza essere lì a parlartene.
Il mio mestiere, o presunto tale, e quello di un sacco di persone con cui ho parlato in questi giorni.
Qualcuno dice
"Non ci si improvvisa chirurghi, ma tutti pensano di poter fare i giornalisti"
qualcun altro
"lavoro qui da due anni ma mi cacceranno via perché tanto, per fare quel che faccio io, a loro basta uno che sappia fare copiaincolla"
Un altro ancora non mi dice niente, e lo capisco: una bestemmia non è una buona argomentazione quindi meglio tenersela in bocca, affare tra sé stessi e iddio per chi ci crede.

Per quanto sia stupido pensare che chi sa picchiare un chiodo nel legno sappia costruire un armadio, un sacco di persone crede davvero che per raccontare una storia basti saper scrivere; che cucinare un CS sia come fare il tema delle medie; che nulla sia più inutile di un redattore che controlla le fonti prima di pubblicare.
O meglio: il problema sono le aspettative. Magari qualcuno è anche convinto che far le cose per bene sia difficile ma... A chi interessa far le cose per bene? In quanti si accorgeranno dei refusi? Chi preferirà l'armadio solido a quello economico?
...
Anche oggi ho mandato il mio curriculum quotidiano.
Ne mando uno al giorno perché non voglio mandarli a caso.
Cerco un'agenzia, o una testata, o una casa editrice che si occupa di cose che mi piacciono e su cui mi sento ferrato. Mi navigo il sito. Leggo degli articoli, se ne trovo.
Mi cerco anche i nomi degli altri redattori, e dei direttori, e persino degli editori.
Tutto mentre onoro-il-mio-contratto, ovviamente, concentrando le ricerche nella pausa pranzo che, facendo felice il tal ministro, consumo tendenzialmente davanti al PC.

Insomma: studio. E dopo aver studiato, invio, con tanto di lettera di presentazione pensata per metter in luce chessò che ho già parlato delle Alpi Apuane, del verde della Garfagnana, del rombo del trattore in salita. Credo a quel che scrivo e quel che scrivo in fondo mi piace, perché è un pezzettino di me.

Non so se questo cambi qualcosa. Non credo che importi davvero alla maggior parte delle pesone che si troveranno a valutare il mio curriculum, né mi illudo che qualcuno pensi ch'io sappia scrivere perché ho contato i tasti della mia tastiera.

Però...

Però c'è qualcosa che fa la differenza.
E' la voglia. Non la volontà. La voglia. Il piacere. La passione.
Non racconto storie perché altrimenti non mangerei. Non lo faccio perché qualcuno mi obbliga. Neppure perché non ho nient'altro da fare.
Lo faccio perché ne ho voglia.
Perché non è la stessa cosa per me se la tastiera sta zitta o se ci batto sopra, e ancora se è solo freccespazioalt per qualche emulatore di giochi da bar o tabtabtab per passare da un menù a tendina all'altro. Perché se m'esce qualcosa di comprensibile dalle dita e qualcuno lo legge la giornata è fatta, nonostante non ci sia un contratto.

Non dico che la mia tastiera sia diversa dalla maggior parte di quelle che state usando voi.
E infatti mi piacerebbe scrivere anche sulle vostre.

A

2 commenti:

  1. Solo una cosa, mi sono dimenticata di dirtela martedì. Mi hanno presa dove lavoro ora (dove più mi piace lavorare) perché ho scritto una lettera di presentazione che dimostrava la mia passione per quello che mi sarebbe piaciuto fare. Non è detto, ma chi se ne frega. Forse raccontare quello a cui crediamo tante volte ci aiuta, almeno a noi stessi, a non perdere le ilusioni che abbiamo.

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