venerdì 4 dicembre 2009
Manchester-on-my-mind
Manchester.
And I can prove it: f@ck you Poshy-Beky.
...
There's this old friend o'mine, we can call him Du.
He used to live here in Manchester, but he's born in Italy, so
ITALIAN
on his passaport, and
ITALIAN
on his DL, and
ITALIAN
when anybody ask him which his native-language is.
Well, like most of us, Du's looking for a new job.
What you need to know about his CV is that his former job had a "chief" in the title.
I know what you're thinking. Please stop.
That's NOT true: he's not a jerk, or a shark neither. Du's good in his job, and that's all.
Financial Crisis hit Du's company hard, so Du became "avaible".
Yesterday Du had an interview.
QuestionAnswerQuestionAnswerQuestionAnswer as usual, and the answers met the questions and everybody smiled and Mr.Du was reasonably happy.
Than
"Oh you're from Italy... Can't believe"
"Well, actually I was born in It..."
"I am sorry, but your former experience is not enuogh for the position we're looking for"
"What? But you said it was enough when you first phone me..."
"That's true. What I mean is not enough for an Italian. You know: you've got all those stories to be ashamed of..."
"Stories... ?"
"Oh, y'know... Mussolini, Mandolini, La dolce vita, Mr. B..."
"What the hell has those things to do with me?!?"
"Well, it's not you... But you italians have to prove your... Trustworthiness. You as a people"
...
Be honest, was not exactly those words... But trust me: this was the meaning.
We've plenty of happy-ending stories 'bout italians having great jobs outside Italy, but maybe we've got to start from the beginning, telling those stories.
Well, I'm a british citizen, so chemmenefrega?
A
mercoledì 2 dicembre 2009
MoneyMoneyMoney
Nessuno si prostituisce, se non per soldi.
Lavorare si deve.
Aver principi si dovrebbe.
Indicativo vince su condizionale.
Per esempio c’è questo ragazzo intorno ai 35 che chiamiamo Qu.
Fa il giornalista, e crede fermamente che girare a sinistra sia meglio che restare a destra.
Però a sinistra gli farebbero fare volontariato, mentre a destra lo pagano, quindi lecitamente si prostituisce. Scrive sulla Padania, se ve lo stavate chiedendo.
Loro regolarmente lo stipendiano ormai da un pezzo, e promettono con solenne contratto che continueranno a farlo a tempo indeterminato. Lui allora dice che gli piace il verde anche se lo sanno tutti che gli unici maroni che gli interessano sono quelli glacé.
Però siccome è un buon giornalista, che ama fare il suo mestiere, e per di più è una bella penna, tutti vivono felici e contenti.
Fine.
Qu è un occupato nient’affatto “diversamente”.
Lui non deve chiedersi quello che per un post-precario come me ormai è un mantra
“Cosa sarò quando finisce il contratto-che-vado-onorando?”
Non deve reinventarsi, inventatosi com’è nel modo giusto fin dall’inizio.
Come prostituta.
Ma c’è davvero qualcuno che si formalizza su certe cose, al giorno d’oggi?
…
Dopo Qu ci sono io, che oggi ho passato la giornata a condire la merda del tal cliente con un po’ d’aceto balsamico, nella speranza di migliorare almeno l’odore.
E qualche minuto fa mi sento dire che
“No guarda lui la merda la preferisce liscia: a lui gli piace così, cheffarci?”
Appunto: cheffarci?
A cosa serve un giornalista, o un esperto di comunicazione, o persino un regista, se tanto il criterio è che chi mette i soldi decide?
…
Ochei: anch’io mi sto prostituendo, visto che bene o male quella tal merda alla fine l’ho servita.
Ma è chiaro che la mia condizione e quella di Qu non sono neppure simili: lui fa il suo lavoro e ha una serie di garanzie in merito alla possibilità di continuare a farlo.
Dove sono io invece il-mio-lavoro non è proprio richiesto.
Sono l’equivalente dell’operaio generico non specializzato che cita Giolitti e fa rivendicazioni sindacali, mi sa.
Qu approverebbe.
Beh, almeno in privato.
E in pubblico chi lo prende in chiurlo sono io.
…
Un mese scarso e forse finirò a fare il gourmet, non essendo richiesto come giornalista.
Non sarei male: se non altro non mi piace la merda.
Un mese scarso e sarò pronto ad abboccare a un altro amo, purché fatto su nei centoeuro.
Un mese scarso per scoprire che ormai la strada è così affollata, che anche tra mignotte c’è la corsa ai saldi.
A
Chiuditi Sesamo
Mica detto che ci si passi, dalla finestra, comunque.
Intanto però, sei sicuro che non ti mancherà l'aria.
...
Ormai una settimana che mando curriculum, e l'unica risposta che ho ricevuto è stata un convinto nograzie.
Ieri parlavo con una collega, nell'ufficio oresso cui sto onorando-il-contratto, e mentre le dicevo che
"Sono convinto della mia scelta!"
"Sono contento!"
"Ho fatto al cosa giusta!"
sentivo la faccia sciogliersi come il cerone dopo un'ora di riflettori.
Il punto è che non so quali alternative avrei avuto.
Se sei di troppo, l'unica è andarsene prima che ti mandino via.
Non è proprio coraggio, né orgoglio e neppure un'ipertrofica dignità. E' senso drammatico.
La storia ha raggiunto il suo climax, quindi è meglio tagliare, perché da lì in poi sarà solo un naufragare verso il finale. E tanto più a lungo si tirano le cose, tanto più patetiche diventano.
Il problema è che, a differenza dei romanzi e dei film e degli spettacoli, la vita continua anche dopo i titoli di coda.
E non è mica facile ricominciare a raccontare storie appena finita una storia.
Soprattutto se quella storia sei tu.
...
Ma quando chiudi una porta, davvero capita che qualcuno apra una finestra.
Ora, non aspettiamoci che la finestra sia più larga, o comoda, o agibile della porta i questione. Però effettivamente qualcosa capita.
Tutto quello scrivere che ho fatto quasi di nascosto negli ultimi mesi, incastrato tra il rientro sfatto e la sveglia antelucana, tutte quelle idee nei cassetti, tutti quei mipiacerebbe, adesso sono la mia professione.
Un blog di storie, mie ed altrui.
I racconti.
Il teatro per i ragazzi.
Ancora un mese giusto -vacanze a parte- di questo contratto terminale, e nessuna seria prospettiva all'orizzonte. Eppure la contraria in questa casa è tale e tanta, che non si può proprio rimaner fermi...
A
martedì 1 dicembre 2009
Naso di prof con coscia
Ma è altrettanto vero che c'è un corpo discinto.
Pare che la prima cosa che si vede sia sempre quella più familiare all'osservatore.
E pazienza se questo significa che dovrei passare più tempo su U-Porn.
...
Ieri l'altro un certo Pier Luigi Celli, già direttore RAI, ora direttore generale della LUISS, scrive una lettera aperta indirizzandola al figlio.
Questa.
E' un po' retorica, naturalmente, ma, in un'epoca in cui con una scatoletta grande un palmo si guarda in faccia una persona che sta a mille chilometri di distanza, chi scrive deve essere retorico.
Dato il tema, poi, è chiaro che la cosa mi colpisca e mi riguardi.
C'è dentro molto dello sconforto, della delusione e della rabbia che mando giù tutti i giorni insieme al caffélatte. Però non credo ne avrei parlato qui se non fosse stato per i commenti che questo Celli ha suscitato.
Vi invito a leggere qualcuno di quelli postati sotto l'articolo -2100 mentre scrivo, ma non dubito cresceranno- ma anche di cercarne in giro per la rete.
"Hai rubato anche tu, Celli, quindi vaff@"
dice uno.
"L'ha pubblicato Repubblica per fare intendere Burlasconi-vaff@"
dice l'altro.
"Se avessi i soldi che ha lui seguirei il consiglio, ma mio padre non era direttore della RAI quindi vaff@ tutti!"
dice il terzo.
E via così tra chi è d'accordo, chi è d'accordo a metà, chi è d'accordo ma gli dispiace, chi è in disaccordo però approva eccetera eccetera eccetera. Eccetera.
E' bello che ciascuno dica la sua. Non scriverei un blog se non pensassi che esprimersi davanti a una platea potenzialmente mondiale sia un modo efficacie per rinsaldare una rete umana e civile sempre più labile.
Il guaio è che a volte questa folla virtuale fa paura.
Non per quello che dice, ma per quello che vede.
Insomma, un padre scrive una lettera al figlio. Dice una serie di blabla magari giusti, magari sbagliati, magari indifferenti. Viene pubblicato.
E la prima cosa che viene in mente al Mariorossi di turno sono piani di destabilizzazione, bestemmie contro il Governo, l'amor-patrio-offeso, il magnamagna, la desolazione-dei-meritevoli.
E i vaff@.
Un sacco di vaff@.
A chi non la pensa come lui a chi è più fortunato a chi è migliore a chi parla una lingua diversa a chi non gli piace la Nutella a chi non si guarda i pornazzi a chi c'ha i capelli cosà a chi legge ma poi non commenta a chi.
Vaff@.
...
Beh, io non so se finirò a lavorare all'estero.
Non so più neppure se ho i meriti e i titoli per ricevere uno stipendio, in euro in dollari o in yen.
Però ho imparato oggi che, per compensare una certa evidente sudditanza psicologica al mondo accademico che mi impedisce di vedere subito la donnina nella faccia del professore, dovrò guardarmi con interesse passerelle, video rap e trasmissioni TV. Tutti pieni di cosce, chiappe e decolté più o meno debordanti. Abituarmi a un mondo più tornito di quello delle bilbioteche, delle librerie e delle discussioni noiose.
Insomma, viva la figa.
Motto intramontabile che cavalca le generazioni.
Ma al Mariorossi, che da ogni bla cava un vaff@, cosa servirà mai per compensare?
A
lunedì 30 novembre 2009
Storia Alla Panna
De gustibus.
Però anche chi non la ama ammette che, fatta com'è di latte e centrifuga, la panna è grassa e fa ingrassare solo a passarci vicino.
Quindi, tra quelli che non mangiano la panna c'è un'infelice porzione, una minoranza forse non poi così minoritaria, una disgraziata fetta di campione che non si contiene per inappetenza o question di sapori, ma per paura di rovinarsi la linea.
...
C'è questa ragazza che chiamiamo Emme.
Brava, sveglia e carina come dev'essere la protagonista di una storia in cui confluiscono tante storie diverse eppure simili. Emme studia da un anno per fare un esame a Roma. Quel tipo di esame di abilitazione al termine del quale sei ufficialmente "professionista" nel tuo mestiere.
Per prepararsi, in ottemperanza allo statuto dell'Ordine professionale di cui vuol far parte, sta facendo il tirocinio, cioè lavora. Certo: un lavoro malpagato, a termine, non particolarmente gratificante. Però un lavoro. Per di più, il lavoro che ha scelto e che la appassiona abbastanza da studiarci, appunto, un anno.
Mese dopo mese, il giorno dell'esame si avvicina, e ormai siamo agli sgoccioli.
Dopo tutte quelle ore a pensarci, un po' di ansia è naturale. Emme non dorme bene, continua a riguardare gli appunti, si inventa domande e temini per vedere se riuscirebbe a svilupparli. Prende il libro in mano per un ripasso veloce, tanto per non consumare la notte guardando il soffitto, per di più al buio. Apre su un capitoletto a caso, e guarda un po' parla delle retribuzioni, delle condizioni di lavoro, dei diritti della categoria. Diritti sacrosanti, beninteso.
Però, siccome a Emme hanno insegnato a mettere insieme i punti per vedere che disegno ne esce, dietro questi Diritti lei intravede la catastrofe.
SE tutto andasse bene
SE passasse l'esame
SE ottenesse quel titolo per cui lavora da tanto e che insomma le starebbe così bene accanto al nome...
Lavorerebbe ancora? Il suo attuale direttore-superiore-tutore, così gentile a malpagarla ora per prepararla all'esame, la vorrebbe ancora come suo pari, invece che come tirocinante? Non preferirebbe forse una ragazzina più giovane, più inesperta e, soprattutto, legalmente più economica?
Domattina l'esame, e la paura che potrebbe essere l'ultima cosa che fa nel mestiere a cui tanto tiene.
"Ne vale la pena?"
...
Ora, come finisce la storia di Emme non lo so e forse non è neppure importante.
Però la morale -se servisse una morale- è già morbida e montata: vietarsi, o anche solo pensare di vietarsi, o persino aver paura di doversi vietare qualcosa di buono e giusto e appagante, che si è guadagnato con fatica o anche solo che si è pregustato a lungo, è un fallimento della società.
E un'occasione persa per me che nella società ci vivo.
Non so quanta colpa vada agli stilisti che scelgono modelle anoressiche, agli Ordini professionali che per evitare alle categorie di morir d'inedia le ammazzano a pistolettate, e alla Crisi, che ormai giustifica tutto e il contrario di tutto. Però, fossi in Emme, quella panna l'aprirei proprio...
A